Photos of a lifetime

Sybil/Sedrik

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    Sybil Leanne O'Bryan
    Quel giorno il parco non era ancora affollato come lo era di solito. Normalmente sembrava quasi che ogni abitante di Hotsprings Bay si riunisse lì, specie in giornate come quella, in cui la brezza leggera faceva il paio con una temperatura non troppo calda né afosa, ma piacevole e tanto diversa da quella delle estati londinesi. In fondo quella era l’Alaska, era ovvio che il tempo e il clima fossero diversi. Quel giorno però si stava veramente bene e anche svolgere le mansioni da dog sitter era piacevole, non che solitamente non lo fosse, ma evitare di dover ripulire i cani dal fango delle pozzanghere lasciate dalle frequenti piogge, era decisamente una manna dal cielo. Quella notte avevo dormito poco. Ormai ero abituata ad avere il sonno disturbato da sogni non miei, ma il sogno di quella notte non era stato come i soliti e probabilmente non doveva essere stato neanche di una singola persona. Chissà quando e se sarei riuscita finalmente a controllare quella strana capacità che avevo, perdere notti di sonno cominciava davvero a diventare stressante. Con lo sguardo seguii i due cani di cui mi sarei dovuta occupare per quelle due ore, prima che iniziasse il mio turno alla taverna. Da quando ero a Hotsprings Bay non mi ero mai fermata un attimo, ma per me era sempre stato così e non avrei voluto fosse altrimenti, quindi non mi lamentavo affatto delle giornate impegnate, dei lavori extra e del tempo libero quasi inesistente. Per me non era un problema, probabilmente avrei finito per occupare il suddetto tempo libero con qualche altra mansione, quindi andava bene così. Non potevo farci niente, solo il pensiero di dovermi fermare a non fare nulla per più di qualche minuto, mi dava la nausea. Proprio per quel motivo, quel giorno, avevo portato con me la mia preziosa macchina fotografica, così da poter scattare fotografie mentre i cani si inseguivano su e giù per il parco, frenetici e instancabili, neanche fossero appena stati liberati dopo una lunga prigionia. Potevo capirli comunque, per questo solitamente evitavo di tenerli tutto il tempo al guinzaglio, sebbene ciò avesse comportato più di un’occhiataccia da parte dei frequentatori del parco. Mi alzai dalla panchina dove mi ero fermata giusto un attimo e mi avviai lungo il sentiero di sassi che attraversava il parco, cercando soggetti, animati o inanimati che fossero, da poter riprendere in quella che era quasi divenuta un’ossessione. Fotografare cose e persone, soprattutto queste ultime, era sicuramente il mio passatempo preferito. Mi piaceva immortalare i loro volti e le loro azioni quotidiane in fotografie che avrei conservato e riosservato a mio piacere, fotografare semplici gesti, espressioni genuine e sincere, non come quelle di quando ci si fa una foto. Probabilmente le volte in cui avevo chiesto a qualcuno di potergli fare una foto si potevano contare sulle dita delle mani. Sempre tenendo d’occhio i cani a cui dovevo badare, mi avvicinai ad un gruppo di persone, anche se non abbastanza perché notassero le mie intenzioni. Sapevo che il mio passatempo poteva risultare a molti estremamente fastidioso, ma infondo non è che facessi qualcosa di male, quelle fotografie non avrebbero lasciato gli album in camera mia, dunque che problema c’era?
    Mi guardai attorno alla ricerca di un soggetto adatto. Il signor Pike se ne stava seduto su una panchina a leggere il giornale come ogni mattina, dovevo avere almeno una decina di sue fotografie dalle più disparate angolazioni. La signora Mandel portava a passeggio la sua piccola barboncina a cui aveva fatto indossare un ridicolo abitino rosa. Ero stata nei suoi sogni una volta e l’avevo colta nella sua fantasia di ritrovarsi in un gigantesco negozio di vestiti per cani. Era stato strano, ma senza dubbio divertente. Fotografai la piccola Annabeth Jackins, di cui ogni tanto mi occupavo, mentre giocava con la propria bambola, seduta sull’erba, così come fotografai anche il fratello mentre si apprestava a gettare una manciata di terra in testa alla sorellina. Era questo quello che amavo delle persone che immortalavo: la spontaneità.
    Mi sedetti a terra, inquadrando un paio di altri obiettivi, subito dopo aver richiamato a me i due cani, che, obbedienti, erano tornati scodinzolando.
    ‘’Fate i bravi ragazzi’’ dissi ridendo e cercando di scansare Jack, il mastino nero che aveva preso a leccarmi la faccia. Sebbene sapessi che nel giro di poco mi sarei stancata di stare ferma, per ora, restare seduta sotto l'ombra di uno dei tanti alberi del parco a fare fotografie, mi sembrava essere la cosa più bella del mondo.
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